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- Questo topic ha 38 risposte, 5 partecipanti ed è stato aggiornato l'ultima volta 8 anni, 4 mesi fa da anonymous.
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13 Dicembre 2015 alle 23:12 #841415pescedigattoPartecipante
troll almeno cerca di proporre argomenti validi di discussione e non solo spam
13 Dicembre 2015 alle 23:49 #841416anonymousPartecipante@Anonymous wrote:
@Anonymous wrote:
@pescedigatto wrote:
caro troll vorrei sapere quando ed in quale post ho affermato di essere di destra e di avere una ragazza. Me lo linki per cortesia? ti ringrazio!
Non c’è bisogno che tu lo dica apertamente, sei un “culo aperto” qui! 😆
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15 Dicembre 2015 alle 13:34 #841417pescedigattoPartecipante
“Il Giornale” alza il velo sul grande affare Arci: Regali ai circoli da un miliardo l’anno.
Nessuno controlla i circoli culturali, si lamentano i baristi e i ristoratori. Eppure qualche sorpresa c’è stata. A Mignanego, 3.300 anime in provincia di Genova, i carabinieri che hanno suonato al campanello dell’Arci «Più o meno» non hanno interrotto il solito cineforum sul realismo sovietico, o un dibattito sulla pace nel mondo. Ma un’allegra maratona di sesso di gruppo. «Qual è il problema? – ha risposto scocciato il titolare, Francesco I., quando gli hanno ritirato l’autorizzazione – Il sesso è cultura, e l’orgia rappresenta un momento di aggregazione». E ancora: «In due sere ho portato all’Arci 130 soci, roba che neanche in un mese di Feste dell’Unità». L’Arci Bitte di Milano – 900 metri quadrati con ristorante, giardino e libreria – in sei mesi di soci ne aveva fatti addirittura 12 mila. Un record, in una città tradizionalmente non proprio «rossa». Poi a maggio sono arrivati i vigili urbani e hanno messo i sigilli. Il motivo? «Non agivano da semplice circolo, erano un locale pubblico a tutti gli effetti». Il presidente dell’Arci milanese, Emanuele Patti, l’ha presa malissimo: «Quel circolo si è inserito in un certo circuito di locali milanesi, cui evidentemente dà fastidio».
Su questo l’Arci ha perfettamente ragione. Il Bitte dava molto fastidio ai proprietari dei locali pubblici. E danno altrettanto fastidio i 34 mila «circoli culturali e ricreativi» italiani che vendono cibo e bevande (anche alcoliche, naturalmente) ai loro soci. Perché fanno un giro d’affari – denuncia la Fipe, Federazione italiana dei pubblici esercizi – di 5,5 miliardi di euro l’anno. Praticamente esentasse. E danno lavoro a 80 mila dipendenti mascherati da «volontari», pagati solo attraverso un rimborso spese, pochi euro all’ora senza contributi. Quanto ci rimette lo Stato? Oltre un miliardo di euro all’anno. Per intenderci, con quei soldi in cassa il governo potrebbe triplicare la «social card».
Solo l’Arci, «l’associazione culturale e ricreativa italiana» – che per statuto «si riconosce nei valori democratici nati dalla lotta di liberazione contro il nazifascismo», «promuove cultura, socialità e solidarietà» e che ha aderito allo sciopero generale della Cgil di venerdì –, ha 5.577 circoli sparsi per l’Italia, e conta la bellezza di un milione, 150 mila e 393 soci. Venerdì sera al circolo Magnolia di Milano c’erano centinaia di giovani, fino alle 4 del mattino. Per discutere di antifascismo? No, la meglio gioventù ha ballato fino all’alba al ritmo del dj set «Fucked from above», tra una Guinness media (4 euro) e un mojito (7). Già, proprio quello che si fa all’«Hollywood», la discoteca delle veline e dei calciatori, anche se lì la coda all’entrata è più lunga e i clienti per vestirsi seguono un codice diverso.
I punti ristoro dei circoli Arci non pagano l’Iva, non pagano imposte dirette e nemmeno quelle locali. In pratica devono versare solo la tassa dei rifiuti ma in versione «ridotta», pari a un quinto di quella pagata da bar e ristoranti. Risultato: il «punto ristoro» di un circolo risparmia rispetto a un bar il 24% del giro d’affari in sconti fiscali e un altro 12% in risparmi sul costo del lavoro. Un’indagine del Cirm rivela che il 43,6% di chi frequenta i circoli lo fa per «bere con gli amici», il 16,6% per «fare sport», il 13,5% per «ascoltare musica e ballare». Meno di 7 tesserati su 100 frequentano abitualmente «dibattiti e conferenze». Se «l’orgia è un momento di aggregazione» (e non ci sono dubbi) anche i superalcolici e la musica techno «promuovono la socialità». Resta da capire perché lo Stato decide di regalare un terzo degli incassi allo spettacolo discodance di «Puccia Recchia e i fanscazzisti», in cartellone all’Arci emiliana «Fuori Orario», mentre pretende fino all’ultima tassa dalla concorrenza che si esibisce nelle vicine discoteche della riviera romagnola. «Questa è concorrenza sleale – attacca il direttore generale della Fipe, Edi Sommariva –. Nel Dopoguerra, i circoli avevano davvero una funzione sociale, e anche politica, che oggi non hanno più. Occupano il nostro stesso mercato, offrono semplicemente divertimento, e in cambio chiedono soldi ai loro clienti». Ma tra un bar e un circolo non c’è proprio nessuna differenza? «Una sola – conclude Sommariva –. Al bancone dell’Arci non fanno scontrini». (Paolo Beltramin – Il Giornale)
“Il Giornale” e l’inchiesta sull’Arci. I paradisi Arci: gin a 7 euro e zero scontrini.
Bum, bum, bum. Come dibattito culturale è un fallimento: non parla proprio nessuno. Le uniche frasi sono le urla al bancone del bar. Per chiedere un altro Gin&Tonic bisogna proprio sgolarsi. Bum, bum, bum. Alla consolle stanotte c’è «Congorock». Il nome d’arte forse è un omaggio alla causa del multiculturalismo, ma Congorock non viene dall’Africa e non suona il rock. È un ragazzotto di Milano, e in internet si definisce «appartenente alla nuova ondata dell’italian electro».Bum, bum, bum. In parole povere, Congorock fa il dj, mette sui piatti le tracce di suoni indistinti ad altissimo volume. È la musica da discoteca che va più di moda negli ultimi tempi: niente ritornelli, niente strumenti, solo rumori rielaborati da un impianto elettronico. E sparati dagli amplificatori a ritmo forsennato. Ma questa non è una discoteca. È il circolo culturale Arci «Magnolia» a mezzanotte di venerdì 12 ottobre. La serata, qui all’Idroscalo di Milano è appena cominciata.
Questa non è una discoteca, ma è come se lo fosse. All’ingresso i buttafuori controllano uno per uno i ragazzi in coda e fanno a tutti il classico timbro sulla mano. È il momento di tirare fuori il portafogli. Dieci euro per la tessera più 5 per l’ingresso più uno per il guardaroba più 7 per ogni cocktail. Pronti via, il tempo di buttar giù un Cuba Libre e si sale in pista. Congorock dà la carica a oltre duecento persone. Lui è la star della serata, ma ogni tanto gli danno il cambio i due «artisti minori»: «24hours party people» e «Fucked from above» (ovvero «Scopato da sopra»).
Bum, bum, bum. Fa caldo, si sta stretti, il rumore è assordante. Ogni mezz’ora si fa pausa per un altro cocktail o per un superalcolico, che costa meno (3 euro) e fa più effetto. Dopo la tappa al bancone si passa nel cortile interno, dove c’è spazio per bere il drink, fumare e dare un’occhiata allo shop. Già, perché il circolo culturale vende anche magliette: la più gettonata ha stampata l’immagine della Vergine e lo slogan «Festa della Madonna!». Prezzo, 10 euro. Meglio comprare anche un sacchetto di patatine, però, per «asciugare» l’alcol prima di tornare in pista.
Questa è proprio una discoteca, ma è come se non lo fosse. Almeno per il fisco. Al circolo culturale Arci «Magnolia» non si fanno scontrini. Non si paga l’Iva e nemmeno una lunga serie di altre imposte che toccano soltanto ai locali «ufficiali». Lo spazio è di proprietà della Provincia di Milano, che lo concede all’associazione a un prezzo politico. «E in questi giorni dovrebbe darci l’autorizzazione a trasformare il vecchio impianto elettrico in un innovativo sistema fotovoltaico» rivela soddisfatto Emanuele Patti, presidente dell’Arci di Milano. D’estate il Magnolia è un locale pubblico aperto a tutti, ma da fine ottobre a fine maggio si trasforma in un circolo culturale, «ingresso riservato solo ai soci», praticamente esentasse.
Quanti sono i dipendenti del «Magnolia»? La domanda è a trabocchetto, perché i circoli culturali sono basati sul volontariato. «Infatti la struttura è mandata avanti dai 15 membri del direttivo, che non prendono mica soldi – assicura Patti –. Poi però abbiamo a contratto una decina di tecnici, dai baristi ai fonici. Tutto regolare». Nel cortile del circolo, venerdì notte, c’è un ragazzo che sta sempre immobile in un angolo. Fuma una sigaretta dietro l’altra, non conosce nessuno. «Scusa, tu lavori qui?». «Perché me lo chiedi?». «Vorrei provare a lavorare anch’io al Magnolia, sai a chi posso mandare il curriculum?». «No, guarda, io do solo una mano, io non c’entro…». «Ma come hai fatto?» «Conosco qualcuno… Ma guarda che io mica lavoro qui». No, il ragazzo non lavora al Magnolia, però rimane fermo a controllare i soci-clienti che fumano nel cortile dall’apertura alla chiusura, dalle 10 di sera alle 4 del mattino.
L’articolo 3 del regolamento nazionale dell’Arci annuncia i «campi prioritari dell’associazione». Al punto N c’è «l’affermazione della cultura della legalità» e l’«impegno per l’affermazione della giustizia sociale». A proposito di legalità, la legge italiana vieta di tesserare nuovi soci direttamente all’ingresso del locale. Bisogna presentare il modulo in anticipo, altrimenti sarebbe troppo semplice, si perderebbe anche l’ultima distinzione tra locale pubblico e circolo privato. Eppure all’ingresso del Magnolia c’è un tavolino riservato per iscriversi al momento, magari lasciando dati falsi (nessuno controlla la carta d’identità), senza nemmeno leggere lo statuto.
Impossibile spiegare a Francesca, 21 anni, quasi laureata, che proprio stasera si è iscritta a un’associazione che ha sostenuto l’ultimo sciopero della Cgil e si batte per la depenalizzazione delle droghe leggere. «Ma ti sembra il posto per parlare di queste cose? Io sono qua per fare casinoooo!», risponde urlando. Forse non si è accorta che la musica è finita. Sono le 4 di mattina, il «Magnolia» sta chiudendo ed è ora di tornare a casa. Comunque ha ragione, non è proprio il posto per parlare di queste cose. Francesca ha il giubbotto Moncler e i jeans strappati Abercrombie & Fitch. «Me li hanno portati dall’Americaaaa!», continua a urlare. Poi capisce che la serata è proprio finita. Come dibattito culturale è stato un fallimento. Però è stata davvero «una festa della Madonnaaaa!», grida ancora la ragazza prima di uscire. La porta a casa il fidanzato che è rimasto un attimo indietro. Sì e fermato all’ingresso del circolo culturale, davanti alla macchinetta sulla destra, per fare l’alcoltest.
“Il Giornale” e l’inchiesta sull’Arci. Saune e club per orge gay.
«011 Sauna club», Torino. «Cruising Canyon», Milano. «Porto de Mar», Venezia. «Hangar», Roma. E via dicendo. L’elenco, pubblicato sul sito nazionale dell’Arcigay, è decisamente lungo. Cosa sono? Sono circoli convenzionati con l’Arcigay. Ovvero dei locali dove si può guardare film porno e fare sesso. Sono locali di scambisti come ce ne sono tanti, ma questi hanno deciso di convenzionarsi con l’Arcigay per poter pagare meno tasse e usufruire delle agevolazioni proprie dei circoli privati. (Il Giornale)link:
http://www.notiziegay.com/?p=21623
http://www.notiziegay.com/?p=21627
http://www.notiziegay.com/?p=2162916 Dicembre 2015 alle 12:29 #841418anonymousPartecipanteSolamente continuo a non capire, come mai in Italia tutte le saune (piú o meno) vengano considerate circoli privati. Negli altri paesi non é cosí Qui in Danimarca le saune e i sexclub sono quasi tutte pubbliche e vi si puó accedere semplicemente pagando all´ingresso senza mostrare nessun tipo di documento.
Secondo me é molto meglio cosí, perché non tutti quelli che vanno lí hanno voglia di registrarsi o di identificarsi, ma preferiscono un pó di privacy e di anonimitá. Io credo che la legge cosí come é da voi tiene molta gente potenzialmente interessante lontana dalle saune. Per esempio un gay giovane ed insicuro ci andrebbe volentieri in una sauna dove per entrarci deve identificarsi o addirittura fare la tessera all´associazione GAY? Io credo di no.
Ma da noi, parlo della Danimarca, ma potrei anche parlare di qualsiasi altro paese in Europa, si entra facilmente in questi posti senza mostrare nessun tipo di identificazione. Per questo scommetto che certi tipi che magari da voi non hanno il coraggio di andare in questi posti, da noi invece di vengono volentieri, perché possono restare anonimi e nessuno chiede della loro identitá….
Morale: io penso che quella carta arcigay vada abollita….per me é una cosa troppo complicata ed antipatica, che anziche aprire il mondo gay verso l´esterno, lo chiude…….ma é solo una mia opinione personale.
16 Dicembre 2015 alle 21:15 #841419pescedigattoPartecipanteHai perfettamente ragione ed in effetti la mafia della tessera è una vergogna soltanto italiana!
consentire l’ingresso nei locali di cruising.
Arcigay ha un primato numerico di iscritti dovuto al fatto che la gente si tessera per entrare nei locali di cruising… e come è ovvio chi vuole scopare per farlo si tessererebbe anche ad azione cattolica se gli offrissero dei locali per scopare facilmente.Quindi non mistifichiamo le cose facendo passare arcigay per un’associazione con milioni di militanti! Arcigay ha migliai o milioni (questo non lo so) di iscritti ma pochissimi militanti (e questo lo si evince dalla scarsa affluenza ai circoli delle varie città, se si escludono i capoluoghi più grandi).
Dunque l’Italia è l’unico paese in Europa dove per entrare nelle saune e nei locali gay di cruising bisogna fare la tessera arcigay.
E se non è MAFIA questa allora come la vogliamo definire?
Per legge i locali di cruising devono configurarsi come club privati ed essere riservati solo agli associati… ma NON E’ NECESSARIO CHE SIANO ASSOCIATI ARCIGAY!! Esistono tanti altri locali non per gay che si configurano come club privati facendo pagare la propria tessera 0,10€ cioè facendo diventare le persone associate con un costo simbolico, così come fanno tutti i club di scambi di coppie per etero!
Arcigay, a parte le politiche di facciata e le campagne di facciata, in questi anni ha dimostrato di fare tanto per se stessa e poco per gli altri!
Sia chiaro che condivido in toto le politiche “di facciata” di arcigay quali la lotta all’omofobia, le campagne di sensibilizzazione sulle malattie, le lotte per ottenere i diritti e sensibilizzare la classe politica.LA VERITA’ E’ CHE ARCIGAY è UNA LOBBY, UNA LONGA MANUS CHE VUOLE GESTRE E CONTROLLARE TUTTI I CIRCUITI GAY E NESSUN LOCALE FAREBBE LA SCELTA DI NON AFFILIARSI, INIMICANDOSI ARCIGAY… SAREBBE UNA SCELTA DIFFICILE E RISCHIOSA, SOPRATTUTTO PER UN NUOVO LOCALE CHE ANCORA NON E’ AVVIATO ED HA BISOGNO DI ESSERE SPONSORIZZATO! AVREBBE SERIE DIFFICOLTA’ A FARSI PUBBLICIZZARE IN QUALUNQUE SITO O RIVISTA… E QUESTA VI PARE LIBERTA’??? A ME NO!
BOICOTTIAMO TUTTI LA TESSERA ARCIGAY… ANDIAMO NEI LOCALI CHE LA RICHIEDONO E MANIFESTIAMO AI GESTORI IL FATTO CHE SE NON CI ENTRIAMO E’ PERCHE’ PER NOI LA TESSERA ARCIGAY E’ UN DETERRENTE E NON UN’AGEVOLAZIONE!
E ripeto, il problema non è il costo esiguo della tessera (che in un anno si ammortizza) ma è proprio il concetto MAFIOSO che è assurdo! All’estero le associazioni gay sponsorizzano i locali gay GRATUITAMENTE!
In Italia, anche quando la tessera arcigay viene fatta nel locale al momento dell’ingresso, il costo della tessera va in parte ALL’ARCIGAY! Quindi i gestori dei locali materialmente non ci guadagnano niente… sono anche essi vittime dello stesso sistema di cui siamo vittime noi utenti dei locali!16 Dicembre 2015 alle 22:01 #841420anonymousPartecipantesoltanto un emerita testa di cazzo come pescedigatto, vero nome Francesco Glande di Napoli, berlusconiano, poteva credere nel giornale di berlusconi
IL COMMENTO DI LUCA VALERIANI, METTE IN RIDICOLO LE TESI DE “IL GIORNALE”, quotidiano cattolico filo-governativo di proprietà del mafioso berlusconi
di Luca Valeriani
In un mondo che cambia, spesso alla velocità della luce, tutto quello che rimane fermo sono i sassi, e gli scemi. Già solo questo assunto basterebbe a spiegare il senso di un articolo tutto sommato fazioso, e sterile di significati come quello de “Il Giornale” che, a modo proprio dice cose che potrebbero anche avere un senso, ma in maniera talmente antipatica da farti venir voglia di votare Rifondazione anche se sei della destra sociale.
Perché descrivere la realtà delle Arci come un consesso di trinariciuti che si pappa i cineforum, o la Corazzata Potienkin in stile fantozziano, è bigotto e inutilmente moralista. Le Arci sono una realtà, che nella stragrande maggioranza dei casi propone aggregazione in centri sperduti del belpaese, dove non ci sono convenienze economiche ad aprire locali pubblici e dove si aggregano anziani, socialità di frontiera, bisognosi. Non a caso, il trattamento è quello degli oratori, che vivono delle identiche facilitazioni. Perché spesso, non sempre ma spesso, sono oratori laici.
Però, volendo restare nel seminato delle argomentazioni addotte, resta da dire in punto di fatto che i conti non tornano. Prima di tutto non tornano i numeri: se 34.000 circoli non pagano circa un miliardo di € significa che ogni locale evade trentamila € circa di imposte indirette e di oneri del lavoro. Il che, sinceramente, fa ridere i polli. Vediamo perché: la maggioranza delle facilitazioni attiene alle imposte non dovute, iva prima di tutto, ed uno inizia a chiedersi: in che senso?
Forse i “punti di ristoro” arci non sono soggetti attivi iva, il che significa che sulle bevande che vendono, non possono applicare l’imposta. Ma quando vanno alla Metro, o da Lombardini a fare rifornimento, l’iva la pagano eccome, perché chi vende i prosciutti o gli spiriti se ne sbatte assai della finalità arci. Quindi non è vero che i circoli arci sono esenti da iva, ma semmai che ACCUMULANO CREDITI IVA. Però per esigere i crediti iva, occorre prima di tutto fare i bilanci dell’associazione, e questo già è un buon deterrente all’evasione fiscale quella vera, e poi occorre anche avere iva a credito da portare in deduzione. Se l’iva a credito non la possono fare perché non sono soggetti attivi iva, di che cosa stiamo parlando?
Mistero soave, che alberga nel cuore degli incompetenti in materia fiscale.
Per il resto, è tutto vero: sono vere le facilitazioni sull’assunzione del personale, e sono vere le facilitazioni sugli scontrini (che non sono obbligatori nei circoli). Resta da dire, che questo appannaggio non è esclusivo dell’arci ma è a disposizione di chiunque voglia aprire un locale pubblico trasformandolo in un circolo privato. Quindi è appannaggio delle acli, dell’uisp, e di qualunque altra associazione voglia fare questo. Scritto in questo modo, sembra che lo stato regali alle associazioni di sinistra soldi a palate. Il che non è vero, peraltro.
Ultimo punto, lasciato in fondo perché più importante, lo schifoso e strisciante moralismo dell’articolista. Se un gruppo di adulti consenzienti ha voglia di far sesso di gruppo, come a Genova, saranno fattacci luridi loro o debbono chiedere il permesso prima alla redazione “interni” de “Il Giornale”? Senza per questo doversi trovare spiattellati a pagina X di un quotidiano nazionale, additati come gli zozzoni che fanno le orge in “circoli privati” (si ripassi il significato del termine privato, l’articolista prima di parlare). Questo articolo, che non a caso mette questo episodio in testa al pezzo, è un attacco violento alla libertà individuale ed alla libera autodeterminazione, che va bollato come “fascista” e rispedito al mittente con tutta la forza dello sdegno di ognuno.
16 Dicembre 2015 alle 23:28 #841421madjakkPartecipante@Dano-gay wrote:
Solamente continuo a non capire, come mai in Italia tutte le saune (piú o meno) vengano considerate circoli privati. Negli altri paesi non é cosí Qui in Danimarca le saune e i sexclub sono quasi tutte pubbliche e vi si puó accedere semplicemente pagando all´ingresso senza mostrare nessun tipo di documento.
Secondo me é molto meglio cosí, perché non tutti quelli che vanno lí hanno voglia di registrarsi o di identificarsi, ma preferiscono un pó di privacy e di anonimitá. Io credo che la legge cosí come é da voi tiene molta gente potenzialmente interessante lontana dalle saune. Per esempio un gay giovane ed insicuro ci andrebbe volentieri in una sauna dove per entrarci deve identificarsi o addirittura fare la tessera all´associazione GAY? Io credo di no.
Ma da noi, parlo della Danimarca, ma potrei anche parlare di qualsiasi altro paese in Europa, si entra facilmente in questi posti senza mostrare nessun tipo di identificazione. Per questo scommetto che certi tipi che magari da voi non hanno il coraggio di andare in questi posti, da noi invece di vengono volentieri, perché possono restare anonimi e nessuno chiede della loro identitá….
Morale: io penso che quella carta arcigay vada abollita….per me é una cosa troppo complicata ed antipatica, che anziche aprire il mondo gay verso l´esterno, lo chiude…….ma é solo una mia opinione personale.
Non tutte le saune “appartengono” ad arci gay-uno card in ogni caso, so che i circoli pagano molte meno tasse di un esercizio normale, sembra e dico SEMBRA perchè mi è stato detto così ma non sono sicuro che senza essere un circolo si rischia comunque, a seconda di come giri al questore di turno, una retata con denunce per atti osceni in luogo pubblico. In un club non c’è questo rischio. Poi non lo so, a Torino fino all’anno scorso c’erano due saune aperte a tutti e senza tessera (poi una l’hanno chiusa per prostituzione, l’altra perchè è morto il proprietario, ora ne sono rimaste due: una arci gay e l’altra arci e basta).
17 Dicembre 2015 alle 16:40 #841422anonymousPartecipantekonosco tante saune NON GAY dove si cucca di piú che nelle saune gay!
Basta frequentare un po la provincia e trovi maschi che te lo danno con molto piacere, anzi, vanno solo in sauna x quello……. e poi tornano dalla loro fidanzata/moglie felici e kontenti ! 😀 😆21 Dicembre 2015 alle 9:05 #841423anonymousPartecipanteRokko, posso confermare tutto
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