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Taggato: identità di genere, penetrazione
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20 Dicembre 2017 alle 15:24 #734301anonymousPartecipante
50 buone ragioni per l’indipendenza
Gilberto Oneto e Giancarlo PagliariniNelle pagine che seguono vengono riportate, senza nessun ordine di importanza, cinquanta dei mille buoni motivi per volere l’indipendenza della Comunità dei popoli padano-alpini.
Ciascheduno potrà trovare che alcune delle ragioni descritte sono più importanti di altre, o potrà aggiungerne altre che gli sembrano altrettanto fondamentali e che qui sono state tralasciate.
Tutte queste motivazioni (e le mille altre) finiscono però per confluire in una unica grande ragione: la libera volontà dei popoli a organizzare la propria vita e a gestire il proprio futuro.
Walker Connor ha scritto che una Comunità non è quello che è, ma quello che crede di essere e che vuole essere, e Sua Santità Giovanni Paolo II ha scritto che “…lo Stato non è più la “casa comune” dove tutti possono vivere secondo principi di uguaglianza sostanziale, ma si trasforma in Stato tiranno, che presume di poter disporre della vita dei più deboli e indifesi, dal bambino non ancora nato al vecchio, in nome di una utilità pubblica che non è altro, in realtà, che l’interesse di alcuni” (Enciclica Evengelium Vitae, Marzo 1995). I popoli della Padania hanno ricominciato a credere in sé stessi e a vedere che il re (lo Stato italiano) è nudo. Sono sempre più numerosi i cittadini delle nostre Regioni che “non ne possono proprio più” , che hanno capito che la differenza non è tra “destra e sinistra” ma tra “statalisti e liberisti” e stanno esprimendo la propria volontà di libertà con crescente determinazione.
La Padania sarà !La prima stesura di queste brevi note era stata resa possibile anche grazie alla collaborazione di numerose persone, fra cui Giovanna Bianchi Clerici, Alfredo Croci, Sara Fumagalli e Medardo Zanetti. Alla loro revisione hanno partecipato Chiara Battistoni, Andrea Mascetti e Carlo Stagnaro.
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Perché l’Italia è una imposizione artificiosa
Perché l’Italia è stata fatta senza e contro la volontà popolare, con una azione militare organizzata e voluta da una sparuta minoranza di persone per demagogia, per interessi economici e per spirito di sopraffazione, e con l’appoggio di potenze straniere che miravano solo al proprio tornaconto economico e politico.
L’Italia non è mai esistita nella storia come entità politica o identitaria. Prima del 1861 la penisola si era ritrovata unita solo sotto l’opprimente dominio di Roma antica che aveva però anche conquistato e tenuto sotto di sè tutti i paesi mediterranei e gran parte dell’Europa occidentale: quella remota esperienza non può costituire in ogni caso un precedente storico né una giustificazione per l’unità politica. In quei giorni lontani i nostri antenati avevano inoltre combattuto una guerra e una guerriglia di resistenza che è durata quattro secoli contro l’aggressione di Roma.
L’unità risorgimentale è stata fatta militarmente ai danni di Stati antichissimi basati su autonomie, libertà e strutture istituzionali che risalivano a molti secoli addietro. Ad essa si è cercato di dare una formale legittimazione con i Plebisciti di annessione al Regno di Sardegna: questi sono però stati una tragica farsa per mancanza di libertà e di segretezza, cui ha partecipato una percentuale irrisoria della popolazione.
Per completare e per cementare la cosiddetta unità si sono poi impiegate repressioni poliziesche e si sono combattute guerre esterne, la più tragica delle quali ha procurato più di 650.000 morti innocenti. Guai a quel paese che per giustificare o formare una coscienza unitaria deve ricorrere a guerre, sangue e sofferenze per i popoli che lo abitano.2
Perché la Padania esiste
Perché esiste da sempre una comunità padana dalle forti connotazioni storiche, culturali ed etno-linguistiche. Perchè essa ha avuto lunghi periodi di unità, con i Longobardi, con il Regno d’Italia all’interno dell’Impero Romano-Germanico (che comprendeva solo la parte settentrionale della penisola), con la Repubblica Cisalpina, e poi con il napoleonico Regno d’Italia. Essa ha vissuto importanti momenti di forte aspirazione unitaria con i Visconti e con la Serenissima Repubblica di Venezia, che sono andati davvero vicini al conseguimento dell’unificazione padana, e con il Piemonte che aveva strutturato tutta la sua politica per raggiungere tale fine. Il Risorgimento e le prime due cosiddette guerre di indipendenza erano state intraprese dal Regno di Sardegna per l’annessione delle regioni padane: gli accordi di Plombières con Napoleone III erano a questo proposito chiarissimi e prevedevano la creazione di un Regno dell’Italia Superiore sotto la casa di Savoia.
L’unità di intenti della Padania si è poi mostrata in numerose altre occasioni storiche quando sono state messe in gioco le libertà delle sue comunità autonome. La prima Lega Lombarda era sorta contro il Barbarossa e la seconda contro Federico II che volevano affermare un potere centralista a scapito delle antiche libertà dei Comuni padani. Le stesse insorgenze antigiacobine hanno avuto una forte valenza unitaria contro un potere assolutista e negatore di ogni autonomia. Si può dire che la vera forza di unificazione della Padania sia la forte volontà dei suoi popoli di difendere le proprie differenze, autonomie e libertà contro ogni prepotenza e centralismo. La Padania esiste, forte e culturalmente coesa, in questa comune e antichissima aspirazione alle libertà e alle autonomie, che risale ai suoi primi abitanti Liguri, Celti e Veneti e che attraversa tutta la sua storia fino agli attuali movimenti di liberazione.3
Perché abbiamo gli stessi antenati
Tutte le genti della Padania discendono dagli stessi progenitori e dagli stessi popoli originari. Questi possono essere identificati in tre gruppi principali. Il primo e più antico è formato dai Garalditani, dai Liguri, dai Proto-Celti Golasecchiani e da tutte le altre popolazioni a essi assimilabili (Camuni, Salassi, Leponzi, Carni, Reti, Histri eccetera) che costituiscono il più profondo substrato etnico di tutte le comunità padane e che ancora oggi contribuiscono in maniera determinante alla formazione del nostro patrimonio genetico: molta parte dell’aspetto fisico dei Padani deriva da questi antichi progenitori. Il secondo gruppo è formato dai Celti e dai Veneti che, pur forse provenendo da diverse aree geografiche, avevano caratteri somatici, costumi e culture così simili da non poter essere distinti se non per la lingua. A queste due popolazioni i Padani devono buona parte dei loro caratteri culturali, del loro amore per l’arte, per le autonomie, per l’avventura e per la robusta propensione all’organizzazione della vita comunitaria sulla base del rispetto per le specificità e per i diritti individuali e di gruppo. L’ultimo apporto è costituito dai Goti, dai Longobardi e da tutte le altre popolazioni germaniche che con loro si sono stanziate su queste terre. Questi hanno condizionato i caratteri fisici degli abitanti di alcune zone e hanno lasciato come eredità comune l’attaccamento per le autonomie locali e la forte aspirazione alla libertà.
Le attuali differenze fra le varie comunità padane sono date dal diverso dosaggio di queste tre componenti principali che sono assieme presenti solo qui, costituendo una forte specificità identitaria che ci distingue decisamente da ogni altra comunità di popoli, in particolare da quelli che vivono nella penisola italiana al di sotto dell’Appennino tosco-emiliano.
Gli Italiani sono infatti gli eredi degli Etruschi, dei Greci e delle popolazioni italiche che si erano stanziate nel Meridione. Questa antica divisione è oggi puntualmente confermata dalle più moderne e attendibili indagini scientifiche che mostrano una penisola divisa in tre grandi aree dove dominano rispettivamente il residuo genetico dei Liguri, degli Etruschi e dei Greci.4
Perché parliamo lingue nostre
Le lingue sono un vero DNA culturale che sopravvive nel tempo e che testimonia di avvenimenti storici e di legami etnici anche molto lontani: costituiscono uno straordinario elemento di archeologia vivente.
Gli studiosi dividono le lingue neo-latine in due grandi ceppi: quelle gallo-romanze e quelle romanze meridionali. Il primo ceppo comprende gli idiomi derivati dalla sovrapposizione del latino a lingue celtiche e sono il Portoghese, il Gallego, il Catalano, il Francese, il Vallone, l’Arpitano (o Franco-Provenzale), il Ladino, il Romancio, il Veneto (e l’Istro-Veneto), il Friulano, le parlate Occitane e quelle Padane (o Gallo-Italiche), a loro volta suddivise in Piemontese, Lombardo occidentale, Lombardo orientale, Ligure, Emiliano e Romagnolo. Il secondo ceppo comprende le parlate derivate dalla sovrapposizione del latino su lingue di tipo mediterraneo e sono il Toscano, il Sardo, il Corso, il Castigliano, il Rumeno e l’Italiano (Mediano, Meridionale intermedio e Meridionale estremo o Siciliano). I due grandi ceppi sono divisi dalla cosiddetta Linea Gotica, che corre sullo spartiacque dell’Appennino tosco-emiliano fra Massa e Senigallia. Le lingue parlate in Padania sono fra di loro “sorelle” e lo sono con le altre lingue gallo-romanze dell’Europa occidentale mentre hanno un rapporto di sola “cuginanza” con quelle parlate in Italia. E’ perciò senz’altro falso sostenere che le lingue padane siano dialetti dell’Italiano e non deve neppure trarre in inganno l’attuale diffusione del Toscano italianizzato: prima dell’unità nessuno in Padania (ma neppure nel Meridione) parlava abitualmente l’Italiano che è stato imposto attraverso l’opera delle scuole, delle caserme e con la radio e la televisione. Oggi l’Italiano è da intendersi quale “lingua franca” ma le vere lingue naturali dei nostri popoli sono altre, che servono da marcatori precisi di parentele e di aspirazioni oggettive a comunanze e divisioni. Se si vuole assumere la lingua quale fattore privilegiato di scelte politiche, siamo certo più affini agli Occitani, ai Provenzali e ai Catalani che non agli abitanti della penisola italiana.5
Per il nostro atteggiamento verso la religione
Nel mondo civile, la religione non può costituire elemento determinante di definizione identitaria e non può surrogare, quale elemento di coesione, l’inesistenza di validi motivi di unità fra comunità diverse. La diversa fede conserva invece in taluni casi la capacità di aumentare le differenze fra gruppi umani già diversi per cultura, caratteri etno-linguistici e percorso storico.
In nessun caso – in particolare – il Cattolicesimo può essere chiamato a costituire una giustificazione per l’unità italiana, mentre i diversi comportamenti nei confronti degli atteggiamenti religiosi possono essere un ulteriore elemento di divisione fra i popoli diversi che abitano la penisola.
Sotto una patina di comune appartenenza religiosa si nascondono infatti almeno due atteggiamenti molto diversi. A sud l’influenza musulmana (la Sicilia è stata sunnita fino al X secolo e gran parte delle coste meridionali è stata a lungo esposta a quella cultura) e quella ortodossa (larga parte del Meridione è passata dalla Chiesa Greco-Ortodossa a quella Cattolica solo fra il XII e il XV secolo) sono ancora forti e hanno lasciato molti segni sia nei comportamenti esteriori che nell’atteggiamento religioso più profondo. In Padania invece non è mai stato del tutto cancellato l’antico substrato celtico che ha fortemente influenzato la formazione della Chiesa medievale, anche attraverso l’opera di ricristianizzazione intrapresa dai monaci irlandesi. Oltre a questo, è da secoli molto forte l’influenza protestante che si manifesta sia attraverso i continui contatti sociali con paesi protestanti che con la presenza di antiche comunità protestanti all’interno della Padania.
Tutto questo ha determinato modi molto diversi di intendere e di vivere l’esperienza religiosa: la Padania è da sempre terra di eresie (nate dall’insofferenza verso ogni strumentalizzazione della fede) e di cattolicesimo partecipato, realmente solidale e sentito, e mai legato a manifestazioni solo esteriori o eccessive. Qui c’è da sempre un atteggiamento posato, meditato e razionale nei confronti della religione che ne ha fatto un paese di grandi Santi e Missionari, ma anche di grandi Eretici. Recidendo legami impropri, l’indipendenza non potrà che portare vantaggi alla spiritualità del Cattolicesimo padano, geograficamente più prossimo proprio a quelle regioni d’Europa, come la Baviera o la Navarra, oggi impegnate in una ricerca profonda del senso della Trascendenza.6
Per difendere la libertà religiosa
L’antica tradizione di diversità anche religiose delle comunità della Padania, manifestatasi con le eresie, la Riforma e la Controriforma e con la presenza di minoranze religiose, ha creato una tradizione di grande tolleranza e di aspirazione alla laicità della politica.
Il più forte e duraturo degli Stati padani, la Serenissima Repubblica di Venezia, aveva costruito il suo potere anche sulla scrupolosa separazione del potere politico da quello religioso e sulla attenta difesa della libertà dello Stato da interferenze ecclesiastiche. Nel corso della sua lunga storia, la Padania ha solo subìto danni dalla pericolosa commistione della sfera religiosa con quella politica. Esse erano tenute scrupolosamente separate nell’antico mondo celta ed erano invece pericolosamente sovrapposte in quello romano. Lo stesso atteggiamento di ingerenza ha portato alla distruzione dello Stato visigoto e di quello longobardo e ha impedito la formazione di una duratura confederazione di popoli padani e la decisiva espansione veneziana in terraferma. E’ stata l’ingerenza della Curia romana a turbare lo spirito di libertà che ha da sempre fatto della Padania la culla delle eresie ma anche il paese della tolleranza: erano sgherri di un vescovone quelli che hanno massacrato Frà Dolcino ed erano ispirate da Roma le persecuzioni contro i Valdesi. Lo stesso Risorgimento ha avuto una forte spinta laicista la cui parte migliore auspicava di arrivare finalmente a una “libera Chiesa in libero Stato”: la peggiore – quella anticristiana – ha tratto paradossalmente energia proprio dagli eccessi dell’ingerenza ecclesiastica nella politica degli Stati preunitari.
Alla fine, in questo alternarsi di eccessi, l’Italia unita ha finito per ricadere ancora una volta sotto l’influenza curiale che è talvolta una presenza assillante nella sua vita politica: nata per eliminare il potere temporale dei Papi, l’Italia è diventata essa stessa per certi versi un grande Stato della Chiesa. Oggi, con la diabolica alleanza fra alcune frange delle gerarchie ecclesiastiche e il comunismo si è creato un regime nemico di ogni libertà e differenza, ivi comprese quelle religiose. Solo con l’indipendenza, la Padania può tornare a garantire ai suoi popoli la più completa libertà religiosa, la sua antica tradizione di tolleranza e un migliore rapporto fra la gente e la tradizione cattolica. Con l’indipendenza, la Padania può tornare a garantire ai suoi popoli l’antica tradizione di tolleranza, alla luce oggi di una rinnovata laicità positiva, che sappia garantire a ognuno il diritto di vivere la propria fede religiosa con libertà autentica, nel privato come nel pubblico.7
Per difendere le minoranze storiche
L’Italia unitaria è sempre stata nemica delle differenze. Per tentare di giustificare la propria ingiustificabile unità ha sempre cercato di imporre una coesione interna che esclude ogni specificità e che nega di fatto l’esistenza di comunità dotate di specifici caratteri etno-linguistici, culturali, religiosi e storici. In questo ignobile e anti-libertario processo di omologazione e di negazione delle grandi diversità presenti nella penisola, hanno finito per essere coinvolte non soltanto le comunità che parlano lingue celto-romanze diverse da quelle capziosamente considerate derivanti dall’Italiano (Occitani, Arpitani, Brigaschi, Ladini), o di ceppo germanico (Walser, Cimbri, Mocheni, Tirolesi, Carinziani) e slavo ( Sloveni, Croati), ma anche in più occasioni le comunità religiose storiche (Valdesi, Armeni, Israeliti). Qualche segnale di riconoscimento si è avuta negli anni più recenti ma ne hanno beneficiato solo le minoranze meno numerose e più “innocue”, magari ridotte a fenomeni di interesse folclorico o a “riserve protette” arricchite dal saccheggio turistico.
Per sopravvivere l’Italia deve negare ogni differenza organica che non sia marginale, magari introducendo e favorendo contrapposizioni pretestuose e semplicistiche (di tipo sindacale, di classe sociale ma anche di ancora più squallide, magari di stampo calcistico) e inventandosi nuove minoranze esogene importate per distruggere quelle antiche e diminuirne l’importanza.
Al contrario, la Padania costruisce la propria forza sul riconoscimento delle differenze e delle libertà di tutte le comunità storiche che costituiscono la sua vera e più grande ricchezza.
Solo con l’indipendenza della Padania possono essere garantite alle minoranze etno-linguistiche, culturali, storiche e religiose uno status di assoluta uguaglianza, la difesa delle peculiarità e l’esercizio di ogni diritto e di ogni forma di autonomia, ivi compreso quello di secessione o di annessione ad altre libere comunità.8
Per conservare la nostra cultura
Tutte le variegate e variopinte espressioni della cultura dei popoli padano-alpini sono oggi soggette a un processo di omologazione e di italianizzazione forzata. Si tratta di una sistematica operazione di devastazione e di snaturamento che riguarda tutti gli aspetti delle nostre antichissime culture, dalle lingue (denominate con disprezzo “dialetti” o “patois”), alle tradizioni, ai costumi, ai modi di vita, alle istituzioni, alle espressioni artistiche e architettoniche, fino alle abitudini alimentari.
Questo processo viene attuato mediante leggi che sono uguali per tutto il territorio della Repubblica, che non tengono in alcuna considerazione le differenze locali e che privilegiano sempre usi e atteggiamenti “italiani”, quando non sono addirittura palesemente punitive per le culture padane. L’operazione viene rafforzata con l’utilizzo di personale meridionale nell’amministrazione e nelle scuole e con l’uso mirato degli strumenti di comunicazione di massa. Soprattutto, alle radio e nelle televisioni si parlano quasi esclusivamente lingue meridionali, si storpia la lingua franca con accenti mediterranei e si raccontano vicende, ambientazioni e situazioni sempre e solo molto “italiane” con un corollario di perversioni, violenze, abitudini a delinquere e comportamenti mafiosi estranei alla cultura dei popoli padano-alpini.
Si agisce soprattutto sui soggetti più giovani e indifesi trasmettendo loro una cultura foresta e cercando di farli sentire parte di un mondo e di una società che sono invece sostanzialmente estranei, lontani nel tempo, nello spazio ma soprattutto nella cultura.
Solo con l’indipendenza, le comunità della Padania possono valorizzare e vivere in piena libertà le proprie culture e tradizioni che devono tornare a essere l’elemento portante della vita sociale e del normale comportamento quotidiano delle nostre genti.9
Per ristabilire antichi legami
Fin dai primi giorni del mondo, i popoli padano-alpini hanno sempre avuto stretti legami con i loro vicini e fratelli che vivono sulle Alpi e appena al di là delle montagne. Le Alpi non hanno mai rappresentato una barriera se non nella retorica patriottarda italianista che ha cercato di creare connessioni privilegiate con le popolazioni meridionali a scapito dei più antichi legami organici. Le genti provenzali, savoiane, svizzere, tirolesi e slovene sono sempre stati collegate a quelle padane, ne hanno condiviso la storia, spesso parlano lingue simili, hanno le stesse usanze e gli stessi problemi. Un proverbio occitano dice che “le montagne dividono le acque ma uniscono gli uomini”. In particolare, le Alpi non sono mai state nella storia europea un elemento di confine politico duraturo e impermeabile: solo l’Italia unita si è inventata l’idea di confine “naturale” geografico (coincidente con lo spartiacque alpino) e di “sacralità” di frontiere disegnate a tavolino in totale disprezzo della storia, delle identità e della volontà delle popolazioni. La storia padana è invece caratterizzata dalla presenza sull’arco alpino di moltissimi Paßstaat (“Stati di valico”) come i regni dei Cozii o di Sisualdo, la Savoia-Piemonte, la Svizzera e il Tirolo. Se esiste un confine fisico sensibile, questo è semmai costituito dall’Appennino tosco-emiliano che è sempre stato una barriera fisica di difficile attraversamento e un confine politico molto persistente.10
Per conservare meglio il nostro patrimonio artistico
La Padania è da sempre un potente centro di produzione culturale e artistica. Fin dalla più lontana antichità è culla di abili artigiani e di capaci imprenditori, ma anche di artisti, poeti, scienziati e letterati. Molti degli artefici dello sviluppo culturale romano e medievale erano padani. Il Rinascimento è una invenzione padana e toscana. La Padania è una delle poche aree del mondo che sia stata interessata, senza rilevanti interruzioni temporali, dalla presenza di culture avanzate e attive per tutta la sua storia. Questo ha depositato sul nostro territorio una stratificazione di opere architettoniche e artistiche prodotte con costante copiosità per quasi tremila anni. Oggi questo incredibile patrimonio è in grave stato di degrado a causa della rapina economica cui sono soggette le nostre terre e in seguito a una politica culturale colonialista perpetrata dal potere centralista romano. Le nostre comunità locali, dissanguate da tassazioni esose, non sono più in grado di fare fronte alla gestione puntuale di tutto il patrimonio culturale presente sul territorio. Gli stanziamenti statali vengono poi distribuiti con criteri centralisti e colonialisti, prescindendo da una logica di merito e concorrenza, affidandosi piuttosto a un’impostazione assistenzialista che premia troppo spesso “chi meno fa e più chiede”, finendo così, inevitabilmente, per favorire le regioni meridionali da cui provengono anche quasi tutti i funzionari preposti.
L’atteggiamento colonialista romano ha anche un suo brutale risvolto nella ghettizzazione della cultura padana; si privilegia di fatto tutto ciò che è stato prodotto da Roma, dal classicismo e nelle plaghe mediterranee, a scapito del patrimonio padano: i reperti archeologici celti, liguri, veneti e longobardi spariscono nel fondo dei magazzini delle Soprintendenze e nei musei vengono esposti quasi solo cocci romani o greci. Lo stesso Rinascimento lombardo (e quindi padano) è considerato espressione provinciale e minore rispetto alla produzione toscana o papalina. In alcuni casi, la ghettizzazione culturale assume le forme di un chiaro accanimento (e avvertimento) politico: è il caso – ad esempio – di Venezia, lasciata crollare forse anche a causa del suo valore simbolico storico e attuale.11
Per preservare le nostre forme di espressione artistica e architettonica
L’antico retaggio culturale celtico, veneto e longobardo ha generato, arricchendosi nel tempo di apporti esterni, un linguaggio originale di produzione artistica che trova i suoi punti di forza nell’amore per la decorazione, nel racconto fantastico, nelle figurazioni luminose e nel gioioso impiego del colore. Si tratta di una serie di costanti espressive che hanno attraversato tutta la storia dell’arte padana con leggere variazioni nel tempo e nelle diverse aree geografiche del paese.
Lo stesso grado di sostanziale omogeneità si riscontra nelle espressioni dell’architettura popolare, le cui svariatissime elaborazioni locali mostrano – assieme a forti peculiarità formali e a dialetti stilistici derivati dalla cultura del posto – alcuni sicuri elementi di forte comunanza: le coperture in pietra o coppi e, soprattutto, le facciate in intonaco dipinte a colori pastello e riccamente decorate con figurazioni o con finte architetture. E’ proprio l’immagine delle facciate dipinte a costituire il più forte elemento di coesione formale e culturale dell’architettura padana, di città e di campagna, di montagna e di pianura: dalla Genua picta alla grande pinacoteca che erano i canali veneziani, dal “Milano dipinto” alle più sperdute frazioni di collina.
Il centralismo italiano si è abbattuto su questi caratteri padani con furia iconoclasta, con l’introduzione di stili modernisti e apolidi che hanno volutamente cancellato ogni decorazione, con architetture “di regime” (fascista o post-fascista) derivate da immagini mediterranee e con la deliberata cancellazione di ogni forma di conoscenza dell’architettura e dell’arte popolare dalle scuole e dalle università. Anche in architettura (e in urbanistica) la penisola è stata forzatamente unificata nel brutto e nell’anonimo.12
Per riportare colore e allegria nei nostri paesi
Uno dei più beceri luoghi comuni del razzismo italiano consiste nel descrivere la Padania come una terra triste, uggiosa, nebbiosa e fredda, abitata da gente ingrigita, mutrignosa, chiusa e triste. Per contro, ci sarebbe un Meridione allegro, solare, aperto, pieno di gioia e canzoni. Si tratta di una colossale falsità che confonde l’allegria con la rumorosità e che si dimentica della profonda mestizia di cui è permeata una cultura spesso cupa che deriva dai loro antenati Greci e Fenici, dall’influenza musulmana e da una lettura molto mediterranea e mediorientale del Cattolicesimo.
Il nostro patrimonio genetico è invece ancora pregno di caratteri celti e veneti, derivati da popoli che avevano colmato la loro vita di colori, di fantasia, di canti polifonici, di ganasseria spavalda, di grandi bevute, di una visione serena e “normale” della morte e di una notevole allegria di fondo. La chiassosità di quegli antenati è stata mitigata dal carattere chiuso e silenzioso di Liguri e Garalditani e da un modo più europeo di intendere i rapporti sociali nel quale le esplosioni di allegria devono essere incanalate in una ritualità comunitaria e non devono mai ledere i diritti altrui.
L’attuale e solo apparente mestizia dei popoli padani deriva semmai dalla loro condizione di assoggettamento culturale, economico e politico, e somiglia molto alla tristezza che popoli vivacissimi, come quello ungherese, mostravano sotto il giogo comunista.
Con la ritrovata libertà, questa terra tornerà a essere il paese dei gioiosi convivi, dei cori e delle bande, del carnevale e delle altre feste più antiche, il paese dei bardi, dei menestrelli, tre trovatori e dei mille colori in cui torneranno a convivere più armoniosamente serietà e allegria.13
Per ripristinare la qualità dell’ambiente
Da sempre le aspirazioni all’indipendenza politica sono strettamente legate all’amore per la propria terra e al desiderio di vederne preservate le risorse e le qualità ambientali. Ogni cultura ambientalista seria non può che essere anche autonomista: le due cose sono inscindibili perché solo chi è libero e padrone della propria terra la può gestire nella maniera più oculata e amorevole. Costituisce anzi uno dei caratteri più odiosi di ogni potere coloniale quello di sfruttare i territori altrui degradandone ogni valenza e qualità ambientale. Oggi il territorio padano si trova proprio in queste condizioni di devastazione e di degrado a causa di un regime oppressivo e foresto che vive sul lavoro della Padania e che non si preoccupa di lenire nessuna delle devastazioni che sono conseguenti alla concentrazione di produzione. Oggi il territorio dei popoli padano-alpini viene devastato da un eccesso di presenza umana, da una concentrazione enorme di attività produttive, e da una gestione del territorio costantemente orientata a criteri politici e mai attenta a preservare un patrimonio che abbiamo ricevuto intatto dai nostri antenati. Talune aree hanno densità abitative e strutture da terzo mondo ma su queste aree il regime italiano continua a indirizzare un flusso di immigrazione più o meno clandestina che aggrava le già precarie condizioni ambientali complessive. Le grandi ricchezze qui prodotte vengono poi investite in larghissima parte altrove e non impiegate – come avviene in tutti gli altri paesi fortemente industrializzati – a mitigare gli impatti sull’ambiente che inevitabilmente derivano da una forte attività di produzione, specialmente se svolta in condizioni infrastrutturali inadeguate. In altre parole, qui si deve produrre tanto e a basso costo per soddisfare l’esoso fisco italiano che non reinveste quasi nulla sul posto e che dilapida altrove le nostre ricchezze.
Solo con l’indipendenza, la Padania potrà riacquistare il completo controllo delle sue ricchezze e impiegarle nella misura necessaria a rimediare alle devastazioni ambientali. La Padania libera dovrà addirittura porsi all’avanguardia della cultura ambientalista con il riutilizzo produttivo delle aree di collina e di montagna, con il decongestionamento delle aree urbane, con grandi investimenti per la qualità dell’ambiente e per il sistematico rimboschimento del suo territorio: essa tornerà veramente a essere una grande valle verde.14
Per liberarci dalla criminalità organizzata
La mafia, la camorra e tutte le altre strutture di criminalità organizzata sono fenomeni tipicamente italiani del tutto estranei alla cultura della Padania, che non ha mai generato niente di neanche lontanamente paragonabile neppure nei momenti economicamente e socialmente più difficili della sua lunghissima storia.
Fenomeni come il racket, le estorsioni e i rapimenti sono del tutto sconosciuti alla mentalità della nostra gente.
La criminalità organizzata è penetrata nei nostri paesi solo dopo l’unità d’Italia e grazie alla connivenza e alla complicità del potere politico romano. Essa sta oggi soffocando le nostre comunità distruggendone le capacità economiche e imponendo con la violenza metodi di oppressione contro cui la nostra società non può difendersi perché è stata privata di ogni strumento: la magistratura, la polizia e il potere politico sono infatti in mano a gente foresta che proviene dalle stesse aree geografiche che hanno generato e tollerato i fenomeni malavitosi, e che deve la sua posizione (e i suoi privilegi) all’esistenza stessa dello Stato italiano di cui è – anche nel caso degli uomini più onesti – costretta ad accettare ogni inefficienza e compromissione.
Solo l’indipendenza della Padania potrà liberare la nostra gente dall’abbraccio mortale dei tentacoli della malavita attraverso l’opera di magistrati e gendarmi padani, di cultura padana, e impermeabili a ogni infiltrazione mafiosa e tendenza alla collusione. Le stesse organizzazioni mafiose non si troveranno più a operare all’interno della stessa struttura statale cui sono legate da un patto di mutua sopravvivenza ma saranno lontane dai loro covi di origine, separate da una barriera culturale ancora prima che giuridica e dovranno muoversi in un ambiente ostile, fra gente nemica dei loro metodi e lontana dalla mentalità che le ha generate e fatte crescere.15
Per l’ordine e la sicurezza
La malavita (grande e spicciola, organizzata e non) che opera in Padania è quasi completamente di importazione italiana o extracomunitaria. La percentuale dei condannati e dei galeotti nati in Padania è minoritaria e riguarda nella grande maggioranza dei casi i reati meno violenti e più tipici delle società post-moderne. L’incidenza diminuisce ulteriormente se si sottraggono anche gli immigrati di seconda generazione che le statistiche annoverano fra i Padani. Si può affermare che la gestione della giustizia in Padania sia un fatto reso del tutto estraneo alla nostra gente: poliziotti, magistrati, funzionari di Tribunale, avvocati e guardie carcerarie sono in larghissima parte meridionali e i reati sono commessi in misura molto preponderante da foresti e da stranieri extracomunitari. I Padani sono presenti nelle statistiche quasi solo in qualità di vittime.
Oltre che dalla grande criminalità organizzata, la Padania è oggi impestata da uno stillicidio di reati commessi da un esercito di balordi, sbandati, drogati, piccoli delinquenti e mascalzoni abituali che rendono insicure le nostre strade e anche le nostre stesse case. Si tratta di misfatti che sono particolarmente odiosi perché sono commessi contro la gente comune, contro i più deboli, contro tutti i cittadini che non sono difesi e a cui è impedito di difendersi da uno Stato inefficiente, spesso corrotto e a volte in aperta combutta con la criminalità. A volte il lassismo italiano è frutto di precise scelte politiche, come nel caso della accettazione degli immigrati clandestini e degli zingari cui vengono concessi la più totale immunità e addirittura congrui sussidi economici. Solo la presenza di una magistratura e di una polizia locale, con leggi fatte da una Padania indipendente potranno ridare sicurezza e serenità a popoli tornati padroni a casa loro e liberi di vivere secondo le proprie usanze costruite sull’abitudine al lavoro, sull’onestà e sul rispetto scrupoloso della legalità.16
Per una giustizia migliore
Il termine di “giustizia” ha perso in Italia il suo più vero significato. Oggi ottenere giustizia è difficile ed è quasi impossibile farlo entro limiti di tempo civili. Le cause normali arrivano a durare decenni e solo quelle dei potenti hanno qualche possibilità di concludersi in tempi ragionevoli, a meno che i loro avvocati non decidano di puntare alla assoluzione tramite lo strumento della prescrizione e decidano di operare scientificamente per ottenere questo obiettivo. Le sentenze hanno l’aspetto di declamazioni iniziatiche, di trucchi procedurali e non c’è fiducia nella giustizia pubblica. La nostra gente si sente (ed è) vittima di cavilli, di legulei verbosi e inconcludenti, di formule ermetiche che non capisce e che sicuramente non rispondono alle sue esigenze e alle necessità di ogni società civile. Il diritto romano, che aveva già il vizio di origine di favorire non già la ricerca della verità ma l’abilità dialettica e procedurale, si è ulteriormente degradato in una visione bizantina e borbonica della giustizia che ha perso di vista da tempo il suo vero scopo primario che è quello di scandire sulla base della “amministrazione della giustizia” i ritmi della vita comunitaria. La nostra gente si sente avviluppata da un sistema truffaldino di parole e inganni, che è forse adatto a certa italica assuefazione all’imbroglio o alla mediterranea tolleranza per le pulsioni a delinquere, ma che si scontra con la mentalità europea dei Padani cui meglio si adatterebbero sia le consuetudini giuridiche longobarde che quelle più moderne anglosassoni fatte di pragmatismo, chiarezza e certezza delle sentenze.
Con l’indipendenza, la Padania avrebbe l’occasione di darsi poche leggi semplici e chiare, di cancellare il macchinoso apparato legislativo italiano (fatto di oltre 200mila leggi e leggine) e di ridare alle proprie genti una giustizia efficiente e credibile.17
Per risolvere il problema degli extracomunitari
L’Italia non ha nessun interesse a risolvere il problema dell’immigrazione clandestina le cui nefaste conseguenze sono in larga parte scaricate sui popoli padano-alpini. Il regime che gestisce la Repubblica vede nell’invasione extracomunitaria l’occasione di loschi affari economici, di rivalse elettorali anti-padane (mediante il voto concesso agli stranieri), di perturbazioni sociali da cui ha sempre sperato di trarre vantaggi politici. In particolare gli stranieri (meglio se irregolari) sono la scusa per il mantenimento in vita di organizzazioni di assistenza generosamente sovvenzionate con denaro pubblico, sono fonte di reclutamento di manovalanza per la criminalità organizzata e sono l’occasione per saldare vecchi debiti politici (contratti con i vecchi regimi comunisti o con i paesi islamici) nati da poco chiare transazioni e mediazioni economiche o da appoggi di vario genere.
Nell’invasione straniera, le forze politiche anti-padane e unitariste vedono una forma di edulcoramento delle identità popolari e la distruzione di tessuti sociali antichi e vitali. La società multirazziale che caldeggiano non è che la naturale continuazione della criminale politica di annullamento delle culture locali a vantaggio di una identità italiana artificiale e innaturale. In aggiunta, i nazionalisti italiani – sempre alla ricerca di motivi o di nemici esterni sui quali cercare di costruire e giustificare l’inesistente identità italiana – vedono nella minaccia dell’invasione extra-comunitaria una scusa per compattare i cittadini della Repubblica in nome della difesa di una comunanza che è artificiale e che può trovare qualche valore solo di fronte a diversità ancora più marcate.
La Padania indipendente si baserà sul fondamentale riconoscimento delle identità locali che dovranno essere difese da ogni tentativo di disgregazione. Saranno da noi benvenuti e tutelati tutti gli stranieri che metteranno a disposizione della comunità la loro voglia di lavorare . In Padania entrerà però solo chi sarà in regola con le disposizioni di legge e se ce ne sarà effettivo e dimostrato bisogno. Finchè c’è anche un solo padano senza lavoro non ha senso che entri alcuno straniero, esattamente come accade in ogni paese civile che vuole rimanere tale.18
Per disporre di un sistema di infrastrutture moderno ed efficiente
Pur disponendo del prodotto interno lordo (PIL) pro-capite tra i più elevati dell’Unione Europea, la Padania vive in una situazione fisica e sociale da terzo mondo con un patrimonio infrastrutturale vecchio e cadente, che costituisce un aggravio aggiuntivo ai costi di produzione. L’Italia investe da decenni i soldi drenati in Padania in infrastrutture a volte faraoniche, inutili e inutilizzate nel Meridione e non provvede alla costruzione di opere essenziali alla vita delle nostre comunità. Così, si costruiscono strade e autostrade nel sud dove non c’è alcuna reale necessità, si progetta e si finanzia un megalomane e costosissimo ponte sullo Stretto di Messina e nelle regioni padane si viaggia su strade strette, antiquate, intasate fino all’inverosimile e si richiedono pedaggi esosi per tratte autostradali dove ci si muove a passo d’uomo. Lo stesso vale per le ferrovie e per gli aeroporti, e in parte ancora anche per la rete telefonica, per i sistemi di cablaggi, per le comunicazioni via etere e – peggio del peggio – per i servizi postali.
Nella Padania indipendente il sistema stradale e autostradale potrà essere razionalizzato e potenziato per consentire spostamenti di uomini e merci con rapidità, i pedaggi potranno essere aboliti o concentrati in un unico pagamento su modello svizzero, e potranno essere raddoppiate e modernizzate le principali linee ferroviarie. Le risorse qui prodotte potranno finalmente essere investite nelle infrastrutture per favorire ulteriormente la capacità produttiva in un processo virtuoso.
Questo è sempre stato un paese all’avanguardia nelle ricerche e nelle applicazioni tecnologiche e l’indipendenza gli permetterà di tornare al passo con i paesi stranieri più avanzati.19
Per mettere fine a ogni forma di razzismo contro i Padani
Oggi i popoli padano-alpini sono oggetto di continui attacchi e discriminazioni anche di stampo razzista. Questo avviene sotto forma di larvate calunnie, che tendono a evidenziare e valorizzare cultura e storia dei popoli meridionali a discapito di quelle dei padani. Il Sud, si sente ripetere, è un paese dalla civiltà millenaria e dalla profonda cultura, mentre la Padania è una plaga poco più che barbara, appena rischiarata dal faro della civiltà mediterranea. Sui giornali e nelle televisioni, frotte di presentatori grassocci, di giornalisti sapüta e di filosofi arroganti non perdono occasione per insultare i popoli padani e per esaltare l’intelligenza e la furbizia mediterranea.
Questo atteggiamento discriminatorio ha un suo corollario pratico nei risultati dei concorsi pubblici e nell’assegnazione di posti di lavoro e di privilegio: i laureati nelle università meridionali hanno inevitabilmente voti più alti, nei ministeri, nei posti di comando, nelle redazioni dei giornali e dei telegiornali vengono spediti quasi solo meridionali più furbi (e raccomandati) dei Padani. Solo l’indipendenza della Padania può porre fine a questa situazione discriminatoria: si potrà utilizzare al meglio innanzi tutto la nostra gente e le graduatorie dei concorsi potranno finalmente essere compilate sulla base di meriti effettivi e non in funzione del luogo di nascita o dell’etnia di appartenenza.20
Perché non ci piace essere chiamati mafiosi
Ogni volta che si ha a che fare con degli stranieri che non ci conoscono personalmente, c’è il concreto pericolo, in quanto cittadini italiani, di essere vittime di giustificati pregiudizi e di sospetti di predisposizione ad atteggiamenti mafiosi. L’idea che in giro per il mondo si ha degli Italiani è infatti quella di un popolo di camorristi, mandolinisti, traditori, ladruncoli e mangiatori di spaghetti: ovunque si raccontano barzellette sulle doti di “eroismo” dell’esercito italiano, sull’abilità di maneggiare coltelli e grimaldelli degli abitanti della penisola e sull’agilità nel “cambiare alleanze” dei loro degni governanti.
Questo è il frutto di poco edificanti episodi storici dell’ultimo secolo (in realtà dell’intera storia unitaria), del comportamento di tanti emigrati mediterranei e della pessima stampa che gli Italiani stessi si sono saputi costruire. Nei paesi dove c’è stata una forte emigrazione di genti padane è sempre sufficiente specificare la propria regione di provenienza per vedere radicalmente cambiati giudizi e atteggiamenti ma in tutti gli altri posti occorre ogni volta cimentarsi in laboriose disquisizioni per spiegare la differenza fra i vari tipi di popoli che sono in giro genericamente conosciuti come “italiani”.
Sono inconvenienti che non capitano di certo a Ticinesi, Monegaschi o a cittadini di San Marino. Sono guai che non capiterebbero neppure più ai cittadini della Padania qualora questa fosse indipendente: essi sarebbero infatti accolti come gli abitanti di un paese civile e rispettabile, come uno dei paesi più colti e prosperi del mondo.21
Per salvaguardare la nostra agricoltura e i nostri prodotti
Oggi l’agricoltura padana è attiva e produttiva ma è continuamente penalizzata dallo Stato italiano che favorisce in ogni occasione quella mediterranea. Nei rapporti con la Comunità Europea, il governo di Roma ha sempre difeso solo i prodotti meridionali (magari non competitivi) e sacrificato quelli padani che sono invece di ottima qualità e che avrebbero immense possibilità di conquistare mercati anche difficili. Roma difende – ad esempio – le produzioni di olio di oliva e di agrumi ma sacrifica criminalmente i produttori di riso, latte e carne. I nostri vini, che potrebbero conquistare ogni mercato, vengono penalizzati dall’obbligo della distillazione, favorendo i prodotti scadenti meridionali. Si è addirittura arrivati a inventare una sgangherata mitologia attorno alla così detta “dieta mediterranea” per favorire certi prodotti e certi comportamenti. La Padania ha una gamma di prodotti agro-alimentari vasta per varietà e ineguagliabile per qualità che viene sistematicamente umiliata dal colonialismo romano. Charles De Gaulle diceva che la civiltà di un paese si misura anche dal numero e dalla qualità dei formaggi che produce: anche in base a questa classifica semiseria (ma non priva di verità), la Padania libera potrà riacquistare il suo ruolo di uno dei paesi più civili del mondo.
Nella competizione mondiale occorre potersi cimentare con la massima agilità e liberi da condizionamenti paralizzanti: anche nella difesa contro la concorrenza commerciale sleale lo Stato italiano continua a privilegiare la produzione meridionale a danno di quella padana, oppressa da regolamenti illiberali e farraginosi, schiacciata dall’oppressione fiscale, sacrificata alle scelte europee ed esposta alla concorrenza piratesca di paesi privi di regole.22
Per interrompere la “marcia verso la morte” della nostra gente
Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale il tasso di natalità della popolazione tirolese della Provincia di Bolzano era pericolosamente precipitato a fronte di una crescita demografica di quella “italiana” e di un continuo flusso immigratorio. In quella occasione si era parlato di “marcia verso la morte” della antica comunità sud-tirolese. Il fenomeno si è interrotto e ribaltato con l’ottenimento di ampie forme di autonomia: oggi quella comunità è vitale e mostra la propria forza richiedendo fette sempre più grandi di libertà.
L’intera Padania sta oggi vivendo una esperienza simile: è il paese con il più basso tasso di natalità del mondo intero e vede la propria terra riempirsi di immigrati prolifici. Le cause di questa situazione vanno cercate nella precarietà di tante situazioni economiche, nell’incertezza del futuro ma anche nella caduta di libertà, nella perdita di fiducia nelle risorse comunitarie e nella crisi di identità. Molti Padani hanno oggi paura di affidare i loro figli a una società “spadanizzata” e impoverita di quei valori che hanno sempre fatto di questa terra un focolaio di vita e di vitalità. Cresce l’insicurezza e la sensazione di non poter garantire alle generazioni future una adeguata condizione socio-economica, livelli sufficienti di sicurezza e soprattutto un ambiente caratterizzato da sicuri riferimenti identitari, in continuità con una tradizione antichissima.
La pericolosa tendenza può essere invertita solo ridando alla nostra gente fiducia e speranza: è certo che l’indipendenza della Padania (con la conseguente prospettiva di ricostruire una società piena di antiche certezze e di forti identità) porterebbe la nostra società a trovare condizioni anche demografiche più equilibrate. Popoli liberi mettono al mondo figli desiderati e liberi.23
Per tornare ad essere europei
La Padania è da sempre il cuore dell’Europa. Qui sono sorte le prime comunità organizzate dell’Europa continentale, qui hanno abitato popoli che provenivano dal centro e dal nord dell’Europa. La Padania ha sempre avuto contatti strettissimi con i paesi d’oltre Alpi, ha fatto parte delle stesse entità politiche e degli stessi processi culturali. Essa fa parte di quella Europa Lotaringia che va dai Paesi Bassi alla Toscana e che è da sempre la patria delle autonomie locali, della tolleranza e della strenua difesa delle libertà individuali e comunitarie. Per millenni i suoi legami più stretti sono stati con la Gallia, la Catalogna, l’Occitania, la Toscana, la Svizzera, la Baviera, la Renania, l’Austria, la Dalmazia, l’Ungheria e anche – in alcuni importanti momenti – con l’Irlanda. A questi si aggiungevano stretti rapporti culturali e commerciali con l’Oriente mediterraneo che facevano della Padania un formidabile crocevia di idee, uomini e merci.
Con l’unità d’Italia, questi contatti e rapporti si sono rovesciati: tutti i legami storici della Padania sono stati tranciati per creare un sodalizio artificioso e innaturale con Roma, il Meridione e con il mondo mediterraneo. L’Italia romana si colloca oggi ai margini della vera Europa, dove si costruisce la storia e l’economia contemporanea, è un paese provinciale e periferico, quasi balcanico. La Padania si è così trovata a dover intrattenere relazioni con paesi sostanzialmente estranei alla sua storia e a dover rinunciare ad antichissimi legami organici che solo con l’indipendenza potrà riallacciare ridiventando così un paese europeo a tutti gli effetti.
Dalla svilente condizione di periferia, quasi di appendice, d’Europa, la Padania deve tornare a riappropriarsi del suo ruolo di protagonista.24
Per rispetto di tutti quelli che sono morti per la libertà
La storia padana è una continua lotta per le libertà e le autonomie dei suoi popoli. Per questo, nel corso dei millenni della loro storia, i Padani hanno sacrificato ricchezze e vite umane: dai combattenti celti e longobardi, ai cavalieri della Lega, dagli Insorgenti fino a tutti gli uomini che sono morti sulle barricate milanesi del 1848 per l’autonomia e anche nelle guerre del Risorgimento, convinti di lottare per l’indipendenza e per la creazione di un Regno dell’Italia Superiore. Tutti i nostri morti meritano rispetto, anche quelli che sono stati costretti a combattere contro la propria volontà, o che sono caduti senza la precisa consapevolezza delle loro azioni. L’Italia ha sempre creato discriminazioni anche fra i morti: quelli “buoni” cui dedicare monumenti e onori e quelli “cattivi” da disprezzare e dimenticare. La Padania libera mostrerà grande rispetto per tutti: per i soldati lombardo-veneti di Radetzky che volevano conservare le autonomie locali all’interno dell’Impero, anche per i garibaldini che credevano in buona fede di costruire un paese migliore, e per le migliaia di Padani massacrati nella Prima Guerra Mondiale (e in tutte le altre guerre) per disciplina, per senso del dovere e per ubbidienza nei confronti di chi ha abusato di loro “per costruire il sentimento nazionale” e per perseguire fini economici e politici d’altro genere.
Tutti i nostri morti saranno rispettati: quelli vittime del colonialismo italiano a fianco di quelli che si sono coscientemente battuti per difendere le proprie case, i propri beni e le proprie antiche libertà contro prepotenti e oppressori.25
Perché lo permettono e sollecitano le norme internazionali
Esiste tutta una ormai consolidata traccia giuridica internazionalmente riconosciuta, che va dai 14 punti del presidente Wilson alla Carta di Helsinki, che garantisce la solidità del diritto di autodeterminazione di ogni popolo, di ogni comunità organizzata. secondo tali documenti, che non fanno che ribadire un inalienabile diritto naturale, ciascuna comunità umana deve godere della assoluta libertà di disporre dei propri destini decidendo la propria forma istituzionale, con chi stare e con chi non stare. Tali diritti spettano in qualunque condizione storica ma assumono la valenza di quasi-obbligatorietà e di dovere morale e sociale quando le comunità sono oggetto di deprivazione economica e culturale, quando la loro esistenza è gravata da oppressione fiscale da parte di uno Stato o di una comunità diversa, e quando la loro stessa esistenza di popolo è messa in pericolo da un’opera di snaturalizzazione e cancellazione identitaria.
Le comunità dei popoli padani sono soggette ad autentiche forme di oppressione culturale e a un sistematico sfruttamento economico da parte dello Stato italiano: si tratta di condizioni che rafforzano e rendono ancora più legittima la loro richiesta di autodeterminazione, che assurge a doverosa azione per “difendere e conservare in buono stato sé, i loro beni ed i loro diritti”, secondo la felice formula contenuta nel giuramento che sta alla base dell’indipendenza dei Cantoni Svizzeri.
Naturalmente la Padania indipendente dovrà garantire il rispetto di uguali diritti di autodeterminazione a tutte le comunità che la compongono.26
Per solidarietà nei confronti della nostra gente e delle generazioni future
Dietro grandi e ipocrite enunciazioni di solidarietà, il regime italiano nasconde solo la sua continua rapina nei confronti della Padania, cui riserva solo accuse di egoismo quando cerca di ribellarsi.
I beneficiari della solidarietà forzata che ci viene imposta sono sempre più lontani o evanescenti (i popoli del terzo mondo, i diseredati della terra) ma in realtà sono i burocrati, i politici e i funzionari dello Stato centralista, che ingrassano e si arricchiscono alle spalle dei contribuenti padani, e un esercito di parassiti (finti invalidi, disoccupati cronici, pensionati baby) che in larga parte dal Meridione assistito fornisce la forza elettorale necessaria a tenere in piedi la struttura di rapina.
La solidarietà individuale deve essere frutto di una libera scelta e non può essere imposta per legge. La solidarietà comunitaria è invece il risultato di un patto liberamente sottoscritto fra i membri di una comunità organica e va esercitata innanzi tutto nei confronti dei sottoscrittori del patto, a partire dai più vicini. Oggi sono proprio i nostri bisognosi veri quelli che ricevono meno solidarietà pubblica o che non ne ricevono affatto: gli ospedali padani sono pieni di foresti e di extracomunitari che non hanno mai pagato un soldo di tasse, il nostro sistema sanitario è una greppia su cui si affannano gli sgherri dei partiti romani, e le nostre comunità locali non dispongono più delle risorse per assistere i nostri anziani, bisognosi e ammalati.
Nella Padania indipendente ogni comunità dovrà provvedere con le proprie risorse ai propri bisognosi secondo il principio di sussidiarietà e senza fare ricorso al debito pubblico (che dovrà essere rimborsato dai nostri figli) per finanziare le nostre spese correnti. Solo quando avremo risolto tutti i nostri problemi, quando avremo organizzato cure adeguate per tutti i nostri malati e anziani, quando ci saremo presi cura di tutti i nostri bisognosi, senza fare ricorso al debito pubblico, perché non è giusto che i nostri bisogni di oggi siano pagati domani dai nostri figli, potremo aiutare concretamente anche i (veri) bisognosi altrui.27
Per assicurare la giusta pensione a chi ha lavorato
Il sistema pensionistico italiano è completamente disastrato e schiacciato da una tremenda mole di debiti derivata anche dall’avere concesso pensioni a milioni di cittadini che non ne hanno diritto, che non hanno mai versato contributi o che lo hanno fatto in misura irrisoria, e per l’erogazione di lussuose prebende a una schiera di alti burocrati e funzionari, politici, sindacalisti e parassiti di regime.
L’istituto della pensione è “monopolio” dei sindacati e della politica ed è diventato uno strumento di assistenza e di acquisto di consensi elettorali.
Oggi una larga fetta dei contributi viene raccolta nelle regioni padane e una notevole percentuale di pensioni di assistenza (erogate con varie giustificazioni) viene elargita nel Meridione. In Veneto per ogni 100 Euro di pensioni incassate i lavoratori versano circa 102 Euro di contributi sociali. In Lombardia ne versano 99. Ma in Sicilia, Campania e Puglia la differenza tra pensioni incassate e contributi sociali versati è di circa 16 miliardi di Euro all’anno che lo Stato centrale ogni anno prende dalle tasse che incassa dai cittadini e li utilizza per pagare pensioni non coperte da contributi versati. Con quella cifra si potrebbero costruire circa 10 autostrade BreBeMi all’anno. O più di 20 tangenziali di Mestre ogni anno!
Anche lo scandalo delle false pensioni (soprattutto di invalidità) continua: hanno avuto esito risibile le tanto strombazzate campagne di controllo e di moralizzazione e non esiste alternativa perché il regime sopravvive grazie al voto di scambio che deriva da questa situazione.
Oggi in Italia per ogni 100 persone in età di lavoro (dai 15 ai 64 anni) ce ne sono 29 che hanno più di 65 anni. Nel 2050 ce ne saranno 61. Questo vuol dire che lo Stato italiano non sarà in grado di pagare le pensioni se non con forti aumenti del prelievo fiscale e questo penalizzerà i lavoratori che hanno versato regolarmente i contributi e non certo le bande di fannulloni e di truffatori che non hanno mai versato un Euro. Solo con l’indipendenza della Padania, i pensionati padani (veri) possono vedere assicurata la propria pensione. Non più dissanguate dalla rapina continua perpetrata dallo Stato italiano, le comunità padane saranno infatti perfettamente in grado di fare fronte ai propri impegni verso i loro pensionati fino alla definizione di una radicale riforma dell’intero settore che faccia percepire pensioni maturate dalla capitalizzazione dei contributi. In Padania l’attuale sistema a ripartizione, centralista, paternalista, non razionale, tremendamente egoista verso le generazioni future, con il quale lo Stato (e per lui i sindacati) si occupa in prima persona di gestire anche le pensioni, togliendo libertà e responsabilità ai cittadini, verrà destinato alla soffitta della storia e sarà gradualmente sostituito dal sistema “a capitalizzazione”, con il quale i cittadini saranno liberi di scegliere come e da chi far gestire i loro risparmi per la pensione e a che età smettere di lavorare.28
Per avere scuole più efficienti
Il sistema scolastico pubblico italiano è oggi considerato una sorta di area parcheggio per giovani che finirebbero (e finiranno) per andare a intasare il mercato della disoccupazione, e una forma di assistenza diffusa per molte migliaia di insegnanti che non avrebbero altro lavoro. Il posto di insegnamento è sempre stato usato dal potere politico di turno come merce di scambio elettorale per una grande massa di persone, principalmente di origine meridionale. Distribuendo stipendi a questa gente, il regime si assicura anche un altro servizio fondamentale che consiste nello snaturamento culturale delle regioni padane dove tali insegnanti vengono inviati: essi diventano lo strumento di penetrazione di idee politiche unitariste, di scardinamento di antiche abitudini linguistiche e di massificazione e banalizzazione della formazione culturale dei giovani. In una società moderna, il ruolo degli insegnanti deve essere invece fondamentale per la conservazione e il rafforzamento di culture e identità locali: essi devono integrare il lavoro di formazione e di arricchimento identitario delle famiglie. Per questo è fondamentale che gli insegnanti siano locali e che l’insegnamento sia organizzato sulla base delle realtà identitarie e riguardi anche tutte le forme di cultura e di autonomia locale.
Solo con l’indipendenza della Padania, il sistema scolastico potrà disporre di maggiori risorse economiche e potrà essere finalmente organizzato in base al principio di sussidiarietà sui vari livelli di autonomia comunitaria.
Analoghe riflessioni vanno fatte per l’istruzione universitaria (nel solco di una tradizione antica, cresciuta proprio in Padania), per la ricerca scientifica e per il valore legale dei titoli di studio, che sarebbe ormai tempo di abolire, aprendo finalmente il mondo delle professioni alla concorrenza.
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Perché lo richiede la globalizzazione dei mercati
Uno dei motivi che hanno portato alla formazione dei grandi Stati nazionali era la necessità di disporre di un mercato interno (spesso protetto) sufficientemente ampio da sorreggere la costruzione di una struttura produttiva industriale. Molti dei più aspri scontri militari sono avvenuti per allargare o difendere tali mercati nazionali e le loro zone di influenza. Oggi i mercati si sono dilatati a dimensione globale e non hanno più senso (né sarebbero possibili) rigide politiche protezionistiche o la conservazione di sistemi di mercato chiusi. In teoria potremmo impedire con dazi e contingentamenti di importare in Italia scarpe o maglioni cinesi, ma non possiamo certo imporre agli Australiani, o agli abitanti degli Stati Uniti o del Giappone di comperare scarpe e maglioni italiani. E senza esportazioni non potremo assolutamente permetterci l’attuale livello di sanità, istruzione, pensioni e consumi. Nella competizione economica mondiale (dove tutti devono giocare a tutto campo) sono avvantaggiati i sistemi più agili, moderni ed efficienti in grado di competere sulla base della qualità dei prodotti, dei prezzi e della rapidità di adeguamento ai cambiamenti di esigenze. In questa situazione perdono quasi completamente di significato i mercati nazionali e si trovano fortemente penalizzati i sistemi come quello italiano che hanno altissimi costi di produzione (a causa di una fiscalità esosa), scarsa flessibilità (alta sindacalizzazione e normative farraginose) e un intreccio infrastrutturale antiquato e inefficiente. Oggi la cosiddetta Impresa Italia si trova in enormi difficoltà a causa dell’oppressione statalista, dell’eccessiva (e corrotta) burocrazia che la governa, della situazione da socialismo reale in cui l’ha cacciata la sua classe politica e dell’inefficienza parassitaria di una larga fetta del paese.
La Padania indipendente costituirebbe invece una unità produttiva ideale per dimensioni, per caratteri e per propensione all’efficienza: liberata dalla struttura parassitaria dello Stato italiano, essa potrà diventare un soggetto agile e capace di assumere una posizione vincente sul mercato mondiale, per un agire davvero globale in un pensare davvero locale.30
Per consentire alle nostre Comunità di gestire le proprie risorse
Oggi gli enti locali padani (Comuni, Provincie e Regioni) ricevono dallo Stato centralista romano una piccolissima frazione di quanto le nostre genti versano sotto forma di tasse e di balzelli. I nostri enti locali sono in continua lotta con bilanci striminziti che non consentono gli interventi e gli investimenti di cui le nostre comunità avrebbero bisogno per garantirsi qualità di vita di livello europeo. Oggi i Padani hanno un PIL pro-capite tra i più elevati dell’Unione Europea, soffrono di livelli di prelievo fiscale fra i più alti del pianeta, ma vivono in condizioni ambientali e hanno servizi e infrastrutture da terzo o quarto mondo. Lo Stato italiano distribuisce le risorse drenate in Padania in funzione delle sue esigenze clientelari favorendo le regioni meridionali da cui attinge il suo potere elettorale: così i Comuni e le Regioni del Mezzogiorno ricevono contributi altissimi e le nostre comunità elargizioni che somigliano a elemosine. I contributi dello Stato a certi Comuni meridionali sono a volte fino a cinque volte maggiori di quelli trasferiti ai Comuni padani. Il grado di copertura delle spese programmate va da circa il 70% della Lombardia a meno del 30% della Calabria: la differenza viene elargita dallo Stato attingendo alle tasse riscosse in gran parte in Padania.
Con l’indipendenza non ci sarà più spazio per il balletto di soldi tipico della “finanza derivata”. La Padania vuole un vero federalismo fiscale. Con l’inversione dei flussi fiscali le tasse resteranno sul territorio meno una quota che sarà identificata con molta trasparenza, e che verrà messa in comune per le spese generali (esercito, politica estera e poco altro) e per aiutare i Comuni provvisoriamente in difficoltà. Senza dover più finanziare l’intermediazione romana e il suo costosissimo e finto assistenzialismo, si avrà un enorme aumento delle risorse a disposizione degli enti locali e delle comunità padane. Non ci sarà più una struttura centrale parassitaria da mantenere e saranno eliminati tutti gli sprechi derivanti dalla gestione clientelare e assistenzialistica del potere.31
Per salvare i nostri risparmi e i nostri investimenti
Oggi i risparmi dei Padani sono messi a repentaglio dall’esosità dello Stato centrale e dai vizi del sistema bancario italiano, i cui servizi, per mancanza di vera concorrenza, sono di gran lunga i più cari d’Europa.
A questo si aggiungono le vessazioni che il potere centrale impone allo stesso sistema bancario. Gli istituti di credito padani sono raramente liberi di disegnare proprie strategie e organizzare una propria politica, tutto è regolato per legge ed esistono forti e ingiuste imposizioni sull’indirizzo degli investimenti. Oltre a tutto ciò le banche padane sono state continuamente chiamate a fare fronte ai disastri finanziari di quelle meridionali. La Cassa di Risparmio di Salerno, la Cassa di Risparmio di Rieti, la Carical (in Calabria), la Caripuglia (in Puglia) hanno letteralmente dissanguato la gloriosa Cariplo, per non parlare del Banco di Napoli, della Sicilcassa, e non è finita… Molte banche meridionali hanno sprecato risorse, alimentato assistenzialismo parassitario e arricchito organizzazioni criminali a spese dei contribuenti: un esempio che è stato seguito per imitazione o per contaminazione anche da taluni istituti bancari padani.
L’Italia è di fatto divisa in due economie che necessitano di due sistemi economici, legali, giuridici e monetari istituzionalizzati. Per salvaguardare i risparmiatori e gli investitori padani serve l’indipendenza del paese.32
Per garantire ogni forma di libertà
L’Italia unita ha sempre avuto una forte propensione per i regimi antiliberali. La sua storia è una continua ricerca di poteri forti e di soluzioni autoritarie; si è sviluppata in una pressocchè continua espressione di sopraffazione delle libertà politiche, religiose, economiche, culturali e civili. Questa predisposizione nasce da due fattori principali. Il primo è rappresentato dalla insicurezza identitaria: l’Italia non è mai esistita nella coscienza popolare e si è formata solo con un atto di violenza militare e di sopraffazione politica e per questo necessita di imporsi con la forza. Lo Stato italiano è perfettamente consapevole che ogni concessione alle libertà porta inevitabilmente a una crescita della domanda di autonomia e, quindi, alla disgregazione dello Stato nazionale tenuto assieme artificialmente. Il secondo fattore deriva dal tipo di cultura dell’etnia predominante e dalla storia di larga parte della penisola che ha conosciuto solo poteri forti, accentratori e assolutisti, che non ammettevano alcuna forma di autonomia politica e amministrativa e nessuna forma di dissenso culturale. Questa antica propensione mediterranea e mediorientale per l’illiberalità è stata trasmessa all’Italia unita e fatta propria con facilità da fascisti, comunisti e prepotenti di ogni sorta. Oggi si è creata una nuova forma di regime che nasce dalla saldatura dei ta20 Dicembre 2017 alle 15:26 #780179anonymousPartecipante…… cazzate
20 Dicembre 2017 alle 16:00 #780180zelos_wilderPartecipantesiete dei pazzi vecchi e antiquati, il medioevo è finito da una vita, siete dei pallisti assurdi xenofobi e omofobi e la bossi fini lo dimostra. distinti saluti, e ve lo dice un varesotto moderno, mica i giovani idioti che reclutate tra i branchi dei drogati…
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